Terzo Natale senza risposta dalla politica e dalle Istituzione il durissimo J’accuse di Adriana Vitale ex lavoratrice della Formazione Professionale
ARCHIVIO ARTICOLI, INGIUSTIZIE QUOTIDIANE, LAVORO, PRIMO PIANO martedì, dicembre 22nd, 2015
Ancora un Natale amarissimo per una dei quattromila licenziati della formazione professionale Adriana Vitale che ancora una volta in una disamina veritiera mette in stato d’accusa le Istituzioni politiche e il malgoverno regionale su una vertenza che ormai ha preso i contorni di una vera e propria mattanza per chi ha subito senza un motivo valido la più grande opera di distruzione di massa operata dal 46 a oggi nella Regione Siciliana
Caro presidente e cari deputati, Buon Natale!
A ogni nuova ondata elettorale condita di passione, proponimenti, aspettative, si accende la speranza che questa terra martoriata e bistrattata possa avere un moto d’orgoglio e rinascere. Che possa avere un futuro normale, dove ogni persona possa realizzare se stessa e costruire la propria vita senza sentire più mortificanti litanie sul sottosviluppo, la colonizzazione, la disoccupazione, l’emigrazione, il degrado, la corruzione, il malaffare, la mafia, in una parola il lento annientamento di una delle terre più belle e ricche che ci siano al mondo, ma puntualmente le speranze diventano vane e i sogni s’infrangono come le onde sugli scogli. Come ogni nascita ci si aspettano cambiamenti e miglioramenti, è la stessa natura dell’uomo che ha in sé insito lo spirito di conservazione, che accende e riscalda il cuore di una nuova luce. Siamo al terzo Natale di un governo che aveva promesso “rivoluzione” e “giustizia sociale”, ma troviamo sotto l’albero solo devastazione, carne macellata, povertà e miseria. Questa solfa della “rivoluzione” usata a ogni “piè sospinto” e snocciolata a ogni difficoltà, non funziona più, è stantia, superata, obsoleta e ampiamente abusata.
Un governo nato nel nome dell’antimafia che ha tradito il suo stesso slogan e che, alla prova dei fatti, ha usato come attestato su cui costruire potere e carriere. Abbiate la dignità di non usare, come foglie di fico, i martiri che l’hanno fatta veramente la rivoluzione e hanno pagato con la propria stessa vita, offende più voi che non loro stessi e la loro memoria. Miserevole e vomitevole continuare a speculare sulla morte eroica di chi ha perso la vita per servire lo stato, una volta per accreditarsi politicamente altre a uso e consumo personale di chi non avendo più argomenti usa una patente scaduta. Miseria umana in qualsiasi modo si vuole leggere.
Abbiamo visto cambiare quattro governi più rimpasti di assessori, con la stessa facilità di come si cambiano i calzini e quella luce di speranza si è man mano affievolita fino a spegnersi. I siciliani hanno atteso con pazienza che l’agonia di ciò che ormai è solo un moribondo che cammina potesse finire e potesse scriversi, con sospiro di sollievo, la parola “fine”. Purtroppo quell’innato o dannato spirito di conservazione e autoconservazione prende il sopravvento e pur di non rinunciare a benefici personali, uomini e donne, che hanno ricevuto un preciso incarico di rappresentanza, puntualmente tradiscono tale nobile mandato per asservire se stessi, gli amici e gli amici degli amici. Il presidente è ormai al timone di una nave in avaria, che sta affondando per la sua incompetenza, la sua incapacità, la sua improvvisazione le sue infinite contraddizioni. I danni sono irreparabili, ma il vero responsabile è chi si ostina a tenerlo in una carretta del mare per squallidi calcoli politici e non a favore del popolo che indegnamente rappresenta.
Si assiste a cambi di casacca, ai voltagabbana, seguite puntualmente da scie di polemiche nauseanti, una volta da una parte e una volta dall’altra, da un pulpito che, ha pure la tracotanza di presentarsi come una verginella pura e casta, mentre punta il dito contro chi commette lo stesso identico peccato. Quando gli elettori sono considerati numeri, e non persone degne di rispetto e considerazione, diventa per loro legittimo pensare che se s’imbarca un soggetto, considerato portatore di voti, con esso arriva il suo pacchetto di numeri. Indegna offesa all’intelligenza dell’individuo, alla libertà del voto e ai nostri padri che hanno sacrificato la propria vita per essa. In ogni ambiente ci sono i purosangue, i cavalli e gli asini, purtroppo abbiamo costatato che gli asini sono tanti, i cavalli pochi e i purosangue più unici che rari.
Il presidente, per un misero piatto di lenticchie, che gli consente solo di vivacchiare, sta svendendo la Sicilia e con essa i siciliani. Una pedina nelle mani di chi si fa forte con i deboli e debole con i forti, l’uomo giusto al momento giusto, per asservire progetti molto più ambiziosi di politicanti senza scrupoli. Venditori televisivi, aiutati da proconsoli che hanno trovato il metodo di come riservarsi un posto al sole. Il re è nudo in mezzo a cortigiani che man mano lo abbandoneranno per salire sul carro che sarà quotato come vincente, al momento, gli rimane solo uno scettro di plastica e un trono di cartapesta.
Che strana la mia Sicilia e la sua gente, capace di consumare fiumi d’inchiostro per inveire contro chi osa esprimere un giudizio negativo e non sollevare le barricate quando quotidianamente è beffeggiato, maltrattato e insultato da una classe politica di basso profilo. L’offesa non è necessariamente l’insulto verbale anche se irrispettoso, fuori luogo e altamente offensivo, ma il continuo incessante comportamento indecente di chi dovrebbe agire per il bene comune, ma con il suo fare o meglio non fare, produce solo miseria. Un popolo che, per sfogare le proprie frustrazioni ha bisogno di un pretesto, un popolo che spesso sbaglia bersaglio e non riesce a indirizzare la giusta rabbia verso ciò che è il vero problema. Un popolo incapace di vivere in una democrazia compiuta. Un popolo che assiste inerme alle bizzarrie di chi lo governa, non solo merita tali bizzarrie ma è complice ed è esattamente ciò che non si riesce a comprendere, cioè l’atteggiamento remissivo, una sopportazione che ormai è diventata più indecente degli stessi soprusi che quotidianamente subisce. La politica ha perso la dignità e il popolo l’orgoglio!
“Sulle pendici riarse e desolate del Vesuvio solo una pianta riesce a vivere, la ginestra, flessibile e tenace: simbolo dell’uomo che sa accettare la verità sulla propria condizione e, su questa verità, può costruire la propria dignità”. (La Ginestra – Leopardi)
Adriana Vitale
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Atto di accusa!
Vi accuso di aver svenduto la mia terra.
Vi accuso di aver tradito il vostro mandato.
Accuso gli indegni politicanti, il cui unico obiettivo è il potere per il potere.
Accuso gli ascari che stanno permettendo di prosciugare le casse siciliane
e regalando l’autonomia siciliana.
Accuso il governo siciliano di essere inadeguato, bizzarro, incompetente, inconcludente.
Accuso la classe politica che non stacca la spina a quella che ormai è diventata una barzelletta che non fa più ridere nessuno.
Accuso il governo (primo, secondo, terzo, quarto, quarto bis, quarto ter…) di incuria e trascuratezza delle infrastrutture.
Accuso il governo (primo, secondo, terzo, quarto, quarto bis, quarto ter..) di aver falciato intere categorie di lavoratori gettandoli nelle disperazione.
Accuso me stessa di non essere capace di ribellarmi a questo scempio.
Il mondo è in guerra, la Sicilia in ginocchio e questi figuri si ricattano, si ammiccano, si amano, si odiano come se nulla fosse, blindati dentro i palazzi sono sconnessi con la realtà e lottano solo per conservare un posto nella loro gabbia dorata.
Spero, ma non troppo, che queste parole taglienti peggio delle lame di un coltello possano trafiggervi l’anima e farvi riflettere sul male fatto al popolo che in voi aveva riposto la propria fiducia.
Dopo quello che è successo oggi all’ars, questa disamina è acquasanta rispetto a ciò che questi figuri meritano, una Sicilia allo sbando e loro continuano a fare tattica di bassissimo profilo politico, un’accozzaglia di individui che si ricattano, si ammiccano, si amano, si odiano e soprattutto tengono in piedi un’individuo incapace, ma al quale gli riconosco la capacità di rimanere in sella, di farsi sfiduciare politicamente e ottenere la stessa fiducia dagli stessi personaggi per le poltrone. Caso più unico che raro.