In tantissimi quando mi incrociano in palestra mi pongono sempre la stessa domanda: “Vale, hai qualche esercizio da consigliarmi per gestire il mal di schiena/cervicalgia/dolore alla spalla (sostituite con quello che vi affligge)?”.
Ebbene, nonostante la mia risposta, da brava operatrice del settore olistico, sia sempre “dipende”, in realtà c’è qualcosa che sento di poter consigliare a tutti (intendo proprio tutti-tutti, dall’atleta d’élite alla casalinga della sperduta provincia agrigentina): una routine di joint mobility o, per chi ha qualche difficoltà a masticare l’inglese, mobilità articolare.
Cari i miei atleti, cari i miei body builder, cari i miei  sedentari un po’ arrugginiti, ascoltate quanto sto per dirvi: se un’articolazione non è “libera” non potrò mai esprimere il 100% della mia forza. Matematico. E per forza non intendo solo sollevare brutalmente pesi. Anche lo stretching è un’espressione di forza (ma di questo parleremo in un altro articolo, ndr).
Naturalmente ogni articolazione del nostro corpo può essere mobilizzata, dal piede alla mandibola; tuttavia, oggi descriveremo brevemente una routine per mobilizzare la zona cervicale.
Le articolazioni che compongono la nostra colonna vertebrale sono molteplici, ma si tratta per lo più di anfiartrosi (come la sinfisi pubica, per intenderci, due corpi vertebrali con un disco fibrocartilagineo in mezzo, che poi è quella struttura da cui fuoriescono le plurimenzionate ernie) e di artrodie, una parola difficile per descrivere due superfici che scivolano tra loro come due lastre di vetro, con piccoli movimenti ma potenzialmente in tutte le direzioni.
Va da sé che per mobilizzare questo tipo di articolazioni dovremo compiere dei movimenti piccoli e semplici, ma su ogni piano dello spazio (avanti e dietro, a destra e a sinistra, in rotazione).
Ogniqualvolta eseguirò i miei movimenti su uno specifico tratto della colonna, cercherò di tener fermo tutto il resto del corpo, evitando di “aiutarmi” muovendo ciò che sia altro dal mio segmento target: meglio un movimento piccolo e contenuto ma estremamente preciso, piuttosto che un movimento ampio ma confuso ed eseguito con l’ausilio di altre parti del corpo.
Faremo un esempio di movimenti sul piano trasverso, per la zona cervicale: per una decina di volte, inizierò a muovere la testa, prendendo come punto di riferimento il mio mento, avanti e indietro, come su un binario (o se preferite, un po’ come fanno i piccioni!), lentamente e cercando di esplorare al massimo la mobilità di quel segmento; continuerò a muovermi su un secondo binario, stavolta da destra a sinistra, cercando di non ruotare o inclinare la testa, ma solo di traslarla (il grande Totò era bravissimo in questo). Infine, proverò ad unire i due movimenti precedenti, immaginando di disegnare un cerchio al pavimento, in un senso e nell’altro, provando a rendere sempre più fluido il movimento.
Questo tipo di mobilità può essere applicata efficacemente a tutto il resto della colonna, con enormi benefici, dettati in primo luogo dal fatto di somministrare gradualmente alle nostre articolazioni dei movimenti “non convenzionali” e secondariamente perché, anche se il nostro pensiero principale va alle strutture articolari, c’è un vero e proprio universo di strutture viscerali, vascolari e nervose all’interno del nostro corpo, che può influire in mille modi sul nostro benessere fisico, psichico e metabolico.
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a cura di BIOSPORTINGLAB www.biosportinglab.it
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